Questa razza autoctona dalle grandi corna a lira, dal manto con sfumature grigie e straordinariamente robusta ebbe il suo momento di maggior sviluppo tra le due guerre. Anche sul monte Amiata i cavatori utilizzavano i bovi Maremmani per il trasporto del marmo.
Con la bonifica e la meccanizzazione agricola la razza andò in crisi, addirittura sfiorò l’estinzione. Ora la situazione sta cambiando e il Presidio sostiene la sua graduale rinascita. La Maremmana è molto frugale, sopravvive in situazioni difficili ed è allevata solo allo stato brado. Questo spiega la sopravvivenza della figura del buttero, il mandriano a cavallo che segue e guida le vacche. Da ottobre a marzo gli animali vivono alla macchia in ampi appezzamenti cintati. Passato l’inverno sono trasferiti in pascoli recintati, per sfruttare la produzione foraggera primaverile.
A fine maggio si effettua la “merca”, cioè la marchiatura a fuoco dei vitelli di un anno. Ed è in quel periodo che le vacche adulte e le giovenche sono “imbrancate” (in gruppi di 25, 30 vacche per toro) per la monta. All’inizio dell’autunno i tori sono tolti dal branco e le mandrie tornano alla macchia. L’allevamento brado contribuisce in modo decisivo al benessere animale e alla sapidità e salubrità delle carni. Esiste una ricetta tradizionale per apprezzare al meglio la carne di Maremmana: uno spezzatino fatto con i pezzi più muscolosi e una concia “asciutta”. Si lascia riposare la carne una notte intera con un trito di rosmarino, salvia e un po’ di pepe. Il giorno successivo la si rosola con olio extravergine di oliva, eliminando eventualmente la poca acqua che si forma. Si procede quindi a una nuova rosolatura con un trito di cipolla rossa, sedano, prezzemolo e aglio. Quando la carne tende ad “attaccare”, si unisce un vino rosso di Maremma e il sale. Sfumato il vino, si aggiunge il concentrato di pomodoro e il brodo per ultimare la cottura, unendo, se necessario, altro vino. La preparazione è molto lunga, ma il risultato è eccezionale.